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Sono nata a giugno e fino agli anni dell’adolescenza le mie torte di compleanno erano rigorosamente con la crema e le fragole. Eh già perché le fragole, un po’ come tutta la frutta e la verdura, si potevano mangiare solo in un certo periodo dell’anno. “Perché la natura ha i suoi tempi” diceva la nonna. E così giugno era, soprattutto per i bambini, il mese più atteso: finivano le scuole e iniziava l’estate, si mangiavano i gelati e uscivano le fragole.

Per i bimbi di oggi associare un frutto alla stagione in cui naturalmente si raccoglie è una vera sfida: l’agricoltura in serra infatti permette di consumare tutti i frutti tutto l’anno. Ma a che prezzo?

Dalla fiaba dei fratelli Grimm a oggi sono trascorsi oltre 200 anni eppure, la mela avvelenata che costò a Biancaneve lunghi anni di coma profondo, non è affatto un’espediente superato.

 

Le mele, infatti, insieme a lattuga, pomodori, cetrioli, peperoni e fragole, conterrebbero, secondo il PAN Europe (Pesticide Action network), le dosi residue più elevate di pesticidi interferenti endocrini.

Il tema è molto delicato e di non facile argomentazione, ma una cosa è certa: la strega cattiva non c’entra.

I pesticidi chimici sono stati creati proprio per essere tossici, per uccidere i parassiti delle piante. Negli anni ’40 venne prodotto e immesso nel mercato il DDT, un insetticida largamente utilizzato in agricoltura, le cui le dosi di impiego aumentarono in pochissimi anni fino a tre volte per via della comparsa di insetti resistenti al loro impiego.

La biologa Carson, al termine di intense ricerche, denunciò nel suo libro “Primavera silenziosa”, i gravissimi danni che i pesticidi chimici stavano causando all’ambiente, alla fauna e agli esseri umani e individuò il DDT come una delle più potenti cause nello sviluppo del cancro.

Negli anni ’80 il DDT venne messo al bando nella maggior parte delle nazioni sviluppate, ma non nei Paesi del Terzo Mondo dove ancora oggi viene utilizzato in agricoltura: tutti i prodotti alimentari provenienti da quelle regioni, arrivano a noi contaminati.

Nonostante la normativa che fissa la “dose massima consentita” dei residui di pesticidi negli alimenti e la stretta sorveglianza operata a livello europeo dall’EFSA (European Food Safety Authority), secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità i pesticidi causano ogni anno circa 200 mila morti su scala globale.

Si è dimostrato che questo cocktail chimico che riveste frutta e verdura è correlato a riduzione della fertilità, aumento di alcuni tipi di tumore, pubertà precoce, diabete, obesità; agisce inoltre sulle ghiandole endocrine e in particolare sulla tiroide, causando disfunzioni anche a livello comportamentale.

 

Ma come tutelare la nostra salute e quella della terra? Quali sono gli accorgimenti per non assumere queste sostanze?

Il primo modo è informarsi. Proprio in questi giorni è possibile partecipare alla Settimana internazionale contro i Pesticidi, organizzata dal Pesticide Action Network (Pan) insieme ad altre organizzazioni come Slow Food: eventi locali, proiezioni di film, conferenze, seminari e mercati cercheranno di informare i consumatori sui rischi degli usi dei pesticidi sull’ambiente e sulla salute incentivandoli all’uso di metodi alternativi.  Qui  tutti gli appuntamenti pesticideactionweek.org.

Fondamentali sono inoltre il momento della spesa, acquistare cibo proveniente da agricoltura organica, ovvero da coltivazioni in cui non sono utilizzati pesticidi e fertilizzanti chimici, e la fase di preparazione del cibo, lavare attentamente frutta e verdura e sbucciare gli alimenti prima del consumo se non sono prodotti bio.

Dove possibile, coltivate qualcosa nel vostro orto, in giardino o nei vasi sul balcone; qualora non potesse, scaricate la nuova applicazione “Che cosa c’è nel mio cibo” che permette di sapere se gli alimenti che consumiamo sono più o meno ricchi di pesticidi fornendo indicazioni di base sul tipo di cibo.

Ma se nessuna idea vi avrà ancora convinto, suggeriamo allora di trovare in fretta un principe azzurro che al momento opportuno vi possa destare dal sonno.

Claudia Orsino
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Un frutto a merenda” sembrerebbe l’inciso di un ricordo del nonno o uno slogan incalzante spalmato sui lati degli autobus di linea. E’ invece la forma essenziale di una proposta divenuta prima un impegno poi una disposizione. Già, perché oggi sono tante le scuole che di questa idea ne hanno fatto una regola: regola d’oro per numerosi nutrizionisti, educatori ispirati, associazioni internazionali; un’imposizione per altri.

L’ultimo caso, che ha visto affrontarsi genitori verso dirigente e corpo docenti, riguarda le quattro scuole primarie del quartiere Saragozza a Bologna: con una delibera votata dal consiglio di istituto, il preside Mari ha imposto alle famiglie di mettere nello zaino dei bambini, per la merenda del mattino, solo frutta e verdura. Le motivazioni a sostegno sono indiscutibili: tutelare il benessere dei bambini; socializzare esperienze e garantire equità tra alunni di diversa estrazione socio-culturale; ridurre gli scarti alimentari; controllare l’apporto calorico per i bambini a rischio di obesità.

Su quest’ultima affermazione i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono gravemente espliciti: i bambini italiani, rispetto ai coetanei europei, sono tra i più grassi; fra i 6 e 17 anni il 26,9% è in eccesso di peso e fra gli 8-9 anni il 10,2% è in condizioni di obesità, e le percentuali maggiori riguardano le regioni del Centro Sud , Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Basilicata. Verrebbe da aggiungere “alla faccia della dieta mediterranea!”.

Ed a denunciare le abitudini alimentari scorrette ci prova anche l’Istat che parla del 65% di ragazzi per cui la merenda è nutrizionalmente sbilanciata o troppo abbondante, con snack salati e fritti, merendine confezionate, succhi di frutta ricchi di zuccheri e conservanti. Condizioni, queste, che aumentano il rischio di malattie cardiovascolari, diabete, problemi ortopedici, disordini psicologici, basso apprendimento a scuola e bassa autostima.

Dinanzi a un simile scenario viene naturale porsi una domanda: qual è il motivo che ha fatto insorgere i genitori dei bambini della scuola di Bologna invocando la libertà di pensiero e di azione? E’ indubbio che le merende genuine comportino un dispendio maggiore di tempo per la loro preparazione e la scelta, ma vale anche, soprattutto, il principio per cui un’istituzione educante in quanto tale può e deve pensare alla trasmissione del sapere e delle buone consuetudini comportamentali. Di fatto la libertà e il benessere sono condizioni similari qualora se ne ravvisi il valore solo dinanzi alla mancanza.

Claudia Orsino

 


Ecco qualche idea per variare la merenda a scuola e garantire un’alimentazione sana per i bambini

Frutta secca

Uva passa, mandorle, anacardi, noci e nocciole, arachidi non salate sono perfette da mettere in un piccolo contenitore ermetico anche se siamo di fretta. In questo caso è bene non esagerare con le quantità: 30-40gr di frutta secca sono sufficienti. E’ anche molto importante verificare con il pediatra che non vi siano allergie a questi alimenti

Frutta disidratata

Banane e mele, mango e papaia, cocco, fichi, albicocche, datteri, possibilmente comunque senza troppi zuccheri aggiunti. Anche in questo caso, non più di 2-3 pezzetti di frutta di media misura

Frutta fresca

Per merenda, chiusi in un contenitore ermetico, vanno benissimo mele a pezzetti, banane, pere, uva, mirtilli, susine… Meglio proporli già sbucciati, tagliati a pezzetti e senza semi, così sarà più facile mangiarli e soprattutto non ci saranno scarti da mettere in cartella

(Fonte: pianetamamma.it)

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